Esistono tantissimi proverbi, modi di dire e metafore legate al cibo sia nella nostra cultura e che in tutte le altre: perché diciamo che è “inutile piangere sul latte versato”? I racconti della nonna
Il cibo è parte integrante della nostra vita e quotidianità. Spesso e volentieri diventa protagonista, come accade durante alcuni giorni particolari come le ricorrenze di Natale e Pasqua. Anche nelle altre culture esistono moltissimi proverbi, modi di dire e metafore legate agli alimenti che fanno parte della tradizione popolare e si tramandano di genitori in figli. Uno tra i più comuni, che probabilmente tutti avremo sentito almeno una volta, riguarda il latte. I racconti della nonna: perché diciamo “è inutile piangere sul latte versato”? Le origini di questo detto affascinante, scopriamo insieme tutti i dettagli.
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“Inutile piangere sul latte versato”: le origini del detto, i racconti della nonna
Ebbene, se parliamo di significato in senso stretto, possiamo facilmente comprendere a cosa si riferisca. Una volta rovesciato il latte non c’è modo di recuperarlo, piangere e disperarsi, dunque, non serve. Ciò sta ad indicare che nella vita è inutile avvilirsi di fronte ad un errore ormai commesso a cui non c’è rimedio. Ma da dove nasce questo modo di dire? Ci sono due ipotesi a riguardo, entrambe molto affascinanti.
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La prima teoria fa risalire questo detto alla favola antichissima della lattaia. Una donna intenta a recarsi al mercato per vendere del latte che lungo il tortuoso cammino era intentata a immaginare e sognare come avrebbe speso il denaro ricavato. Distratta dai suoi stessi pensieri, inciampò rovesciando il latte. Una seconda ipotesi, invece, risalirebbe ai contadini. Ogni alimento era preziosissimo e dimenticare il latte sul fuoco comportava inevitabilmente che questo, bollendo, fuoriuscisse dal tegame rovesciandosi sul fornello. Le due storie hanno alla base l’idea di una distrazione, un errore commesso, che porta a conseguenze a cui non è possibile rimediare. Pertanto, disperarsi e avvilirsi non sarebbe servito a nulla. Da qui il modo di dire nostrano, che ci invita a non sentirci frustrati o tristi per qualcosa che non possiamo più aggiustare o cambiare.